Che la Sardegna sia abituata alle cicliche invasioni e sottomissioni, già punica romana, spagnola sabauda e non ultima Italica, non è una novità, ma non é detto che debba subire all’infinito. C’è sempre un limite a tutto. Sono trascorsi appena duecento anni dalla infausta imposizione delle chiudende, vendutaci per migliorare l’agricoltura, con il risultato che incrementò solo il potere e la ricchezza dei potenti di turno, scardinando l’atavica cultura sociale, fondata sulla terra condivisa. Non solo, il regio editto diede corpo a vastissime privatizzazioni, togliendo strade, fonti, abbeveratoi e le terre ai pastori e contadini, costretti ad elemosinare il lavoro e coloro che resistettero, nell’esercizio del pastore o contadino, dovettero affittare le terre e farsi carico di ulteriori imposizioni e balzelli, oltre se pesanti tasse regie ed i gravami feudali ancora in essere, nonostante i Savoia regnassero già da 100 anni. La storia si ripete, con l’occupazione sistematica del suolo sardo attraverso vaste “piantumazioni” di impianti eolici e distese di specchi solari, perpetuata dai nuovi “Principales”, che l’italica nazione ci impone per sostituire l’energia prodotta da fonti fossili, causa principale del cambiamento climatico. Ancora una volta se l’intento é condivisibile, non altrettanto lo è l’applicazione.
200 anni fa bastava inibire i “Principales” e consentire ai contadini e pastori di dotarsi di un sufficiente appezzamento di terreno per dar loro la possibilità di sfamarsi e produrre. I Savoia se avessero agito nei rispetto della cultura locale non avrebbero pensato che: “La causa dai nostri mali è da ricercarsi nella natura stessa dei sardi, poveri, nemici della fatica, feroci e dediti ai vizio”, senza rendersi conto che questo loro giudizio nei nostri confronti lo avevano pesantemente provocato senza alcun rispetto per quel popolo che con il loro Stato consentirono la nascita del Regno di Sardegna, visto che i Savoia disponevano solo di frammentati principati e ducati.
Ci risiamo, ancora una volta si favoriscono i “Principailes”, ma stavolta “Strangius” (forestieri), moderni, senza volto ne anima, ma avidi di denaro e profitto in terra d’altri. Questa, per l’italica nazione, potrebbe essere una buona occasione per ridare dignità al popolo sardo, se tenesse davvero alla terra che l’ha resa Stato. In primo luogo bloccare gli speculatori e chiedere ai sardi di dare il loro contributo alla riconversione energetica.
Siccome non abbiamo, nonostante tutto, perso il senso del dovere e lo spirito dell’accoglienza sono certo che i sardi metterebbero da subito a disposizione i propri tetti, le aree industriali ed artigianali per accogliere pannelli e gli alti fusti eolici. Sarebbe la giusta occasione per sfatare il giudizio dei Savoia, perché attraverso i propri tetti i sardi potrebbero disporre dell’auto consumo per dare una mano al reddito familiare, rendendoli meno poveri, ed il surplus potrebbe tranquillamente prenderselo io Stato. Inoltre non sarebbero più nemici della fatica, perché le imprese potrebbero beneficiare dell’energia data dai tetti e dai pali presso la proprie aziende, concorrendo ad abbattere i costi di produzione e ponendo le stesse in linea con il mercato. Infine, “feroci e dediti al vizio”, basterebbe leggere ciò che avvenne nel 1820, per non ripetere gli stessi errori. Si acuì il divano tra le classi sociali, ponendo le comunità in forte conflitto fra loro e fra loro e lo Stato, dando vita alla tragica nascita del banditismo, marchio indelebile che ancora ci portiamo addosso. Certo oggi la cosa è diversa, siamo più maturi e poi i nuovi “Principales” pagano bene i terreni quindi una parte della popolazione può vivete di rendita e non lavorare, magari alimentando i propri piaceri, come per esempio andare a caccia anche di giovedì, se lavori è difficile. Senza pensare che la selva di essenze eoliche, con profonde radici cementizie, non fanno ombra dove la fauna può ristorarsi, ma non solo, passerà lontano dall’insolito fruscio per altri luoghi incontaminati. Provate a sostare sotto un gigante eolico, per rendervi conto che quel giramento di pale non favorisce la frescura per la cacciagione e tanto meno per l’uomo. Un ambiente può esser migliorato ma non trasformato a prescindere dalla sua natura e della sua storia, e nel nostro caso parliamo del patrimonio identitario dell’isola di Sardegna. Non credo che i sardi abbiano ancora l’anello al naso e smettiamola, una volta per tutte, di farci credere e considerare queste moderne selve e distese specchiate “Parco”, alla pari del Molentargius, Arcipelago della Maddalena, dell’Asinara Porto Conte, Tepilora, Georninerario, Monte Arci, Sette Fratelli o delle aree marine protette come la penisola del Sinis e Mal di Ventre. Tavolara e Punta Cavallo, capo Caccia e l’isola Piana, capo Carbonara e isola dell’Asinara.
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