«Sapore di sale, sapore di mare/che hai sulla pelle, che hai sulle labbra/quando esci dall’acqua e ti vieni a sdraiare/vicino a me, vicino a me»… Chi non saprebbe continuare a cantare questa storica canzone di Gino Paoli? E questa di Raimondo Vianello? «Con le pinne fucile ed occhiali/quando il mare e’una tavola blu»… Chi non conosce «Un’estate al mare/voglia di remare/fare il bagno al largo/per vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni» di Giuni Russo o Una Rotonda sul mare di Fred Bongusto? Sono molte le canzoni di quegli anni rimaste nella memoria degli italiani, inscindibilmente legate all’estate e al mare. E non solo per coloro che quegli anni li hanno effettivamente vissuti, ma anche per i più giovani perché questi brani continuano a fare da colonna sonora alle vacanze estive.
Tutti ricordano a memoria le parole della La canzone del sole: «Ma ti ricordi le onde grandi e noi/gli spruzzi e le tue risa/cos’è rimasto in fondo agli occhi tuoi/la fiamma è spenta o è accesa?/O mare nero, o mare nero, o mare ne…/tu eri chiaro e trasparente come me…», e quelle di Io vorrei…Non vorrei…ma, se vuoi di Lucio Battisti: «Come può uno scoglio/arginare il mare?/Anche se non voglio,/torno già a volare …/Le distese azzurre/e le verdi terre», o quelle di E tu di Claudio Baglioni: «Accoccolati ad/ascoltare il mare/quanto tempo siamo stati/senza fiatare». E molti ricorderanno anche un giovane Vasco Rossi cantare «Voglio andare al mare/quest’estate voglio proprio andare al mare»…
In effetti la parola mare è una delle più ricorrenti nei testi delle canzoni italiane, lo hanno notato i linguisti che si sono impegnati nello studio dell’italiano cantato e anche gli ascoltatori. Si può dire che il mare faccia parte dell’immaginario “poetico” proprio degli italiani, sia perché viviamo in una penisola, sia perché si presta a sopportare il peso di tante interpretazioni: dal mare che bagna le spiagge assolate delle canzoni “estive”, a quello scuro e desolato nei paesaggi invernali, dal mare dei pescatori e dei marinai, dei grandi navigatori del passato, ai mari metaforici di lontananza, di amore, di solitudine.
Il mare porta in sé o viene caricato di valenze diverse, che a volte accomunano anche testi di autori diversi. Il mare d’inverno, brano scritto da Enrico Ruggeri e cantato da Loredana Bertè, e la canzone di Luca Carboni Mare mare mare condividono per esempio il dialogo con il mare, che diventa interlocutore privilegiato proprio quando non è più distratto dai bagnanti che lo affollano durante la stagione estiva: «Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via./Mare mare, qui non viene mai nessuno a farci compagnia./Mare mare, non ti posso guardare così perché/questo vento agita anche me», canta la Bertè con la sua voce roca e «Mare mare mare, ma che voglia di arrivare lì/da te, da te, sto accelerando e adesso ormai ti prendo/Mare mare mare, sai che ognuno c’ha il suo mare dentro il cuore/e ogni tanto gli fa sentire l’onda…», canta Carboni. Aleggia in entrambi i brani quel vago senso di solitudine e desolazione che caratterizza il paesaggio vacanziero durante l’inverno: la Bertè vede i colori da “film in bianco e nero”, i manifesti sbiaditi e il vento che spazza via gli ultimi ricordi dell’estate, mentre Carboni finisce sul molo «a parlare all’infinito» e si sente solo.
Solo come Il pescatore di Pierangelo Bertoli e tutti gli uomini che con il mare e del mare vivono, in un rapporto profondo e combattuto con la sua forza: «Pesca forza tira pescatore/pesca non ti fermare/poco pesce nella rete/lunghi giorni in mezzo al mare/mare che non t’ha mai dato tanto/mare che fa bestemmiare/che si placa e tace senza resa/e ti aspetta per ricominciare». Come i marinai della canzone Ma come fanno i marinai di Francesco De Gregori, figure quasi stereotipate di “veri uomini”, che tuttavia nascondono anche loro, sotto la dura scorza dell’uomo di mare, un senso di vuoto e di solitudine: «Intorno al mondo senza amore/come un pacco postale/senza nessuno che gli chiede come va/ […] /che cosa gliene frega/di trovarsi in mezzo al mare/a un mare che più passa il tempo/e più non sa di niente». Soli anche i grandi navigatori del passato, come il Cristoforo Colombo cantato da Francesco Guccini, che «non si era sentito mai solo come in quel momento», mentre naviga in un oceano di sogni, «ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto;/andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è».
La canzone è colpita dal fascino che avvolge gli uomini di mare e chi il mare se lo porta dentro. La Gente di mare di Umberto Tozzi e Raf è abituata a convivere con l’orizzonte infinito del mare, «quella idea di troppa libertà» che agli altri fa paura, ma che allo stesso tempo è il legame che la costringe: «Gente di mare che se ne va/dove gli pare, dove non sa/Gente che muore di nostalgia/ma quando torna dopo un giorno muore/per la voglia di andare via». Senso di libertà anche nel testo di Vento d’estate di Max Gazzè e Niccolò Fabi: “andare al mare” significa andare in vacanza, liberarsi e allora «Vento d’estate/io vado al mare, voi che fate?/Non mi aspettate/forse mi perdo»…
Il mare dà e toglie, il mare attrae e allo stesso tempo fa paura, il mare cura. Marco Masini lo invoca in Ci vorrebbe il mare per salvare un amore che sembra essersi dissolto: «Ci vorrebbe il mare con le sue tempeste/che battesse ancora forte sulle tue finestre» e dipinge una romantica immagine di amore “marino”: «Ci vorrebbe il mare dove naufragare/come quelle strane storie di delfini che/vanno a riva per morir vicini e non si sa perché». Si parla di un amore sicuramente dissolto in “A me ricordi il mare”, dove Daniele Silvestri e gli Otto Ohm ribaltano quel suo legame con la libertà e con la vacanza: «Mi ricordi il mare/non per gli ombrelloni/per la fila in tangenziale», trasformando persino il movimento delle onde in una forma di indecisione: «A me ricordi il mare/e non per le vacanze/che abbiamo fatto insieme/Ma per il tuo ondeggiare/tra il gesto di chi afferra/e quello di chi si trattiene».
Siamo giunti così molto lontano dal mare e dalle spiagge da cui siamo partiti e, dopo tanto navigare, chiudiamo con un’immersione. Com’è profondo il mare canta Lucio Dalla in quel famoso brano. L’uomo che pensa in modo indipendente è come un pesce, muto ed immerso: «e come pesce è difficile da bloccare,/perché lo protegge il mare./Com’è profondo il mare!». Un altro mare metaforico nasconde l’uomo ai tentativi di omologazione, perché «il pensiero, come l’oceano,/non lo puoi bloccare,/non lo puoi recintare./Così stanno bruciando il mare./Così stanno uccidendo il mare./Così stanno umiliando il mare./Così stanno piegando il mare». Così il cantautore ci invita a riflettere. E scusate se molti mari non sono stati solcati durante questo breve viaggio nella canzone italiana. Per continuare ad esplorarli non c’è bisogno della guida ma solo di un po’ di spirito d’avventura. E chissà che non vi si trovi qualche altro tesoro nascosto…
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