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L’immigrazione europea in Sardegna in epoca preistorica_di Tarcisio Agus

La segreta Sardegna ogni tanto svela alcuni dei suoi misteri, lo fa attraverso la ricerca scientifica, oggi meglio strutturata con l’interdisciplinarietà che ci permette di disporre di dati e conoscenze inaspettate.

Lo è stato anche l’ultimo studio sulla calotta cranica di Beniamino, meglio noto al mondo scientifico con la sigla SOMK1, pubblicato sulla rivista American Journal of Biological Anthropology dal  titolo “Virtual Analysis of a Concretioned Skullcap From S’Omu e S’Orku, an Early Holocene Mesolithic Site of Sardinia”. Beniamino è uno dei tre personaggi, con Amanda e Amsicora, che ci ha restituito l’anfratto costiero di rio “Domu de s’orku”, nel litorale arburese.

Da diversi anni ormai la Prof.ssa Rita Teresa Melis, dell’Università di Cagliari, ha intrapreso una intensa ed accurata ricerca scientifica nel sito Mesolitico, attualmente il più importante e significativo insediamento umano dell’Olocene Inferiore (11.700-8.200 a.C.) rinvenuto in Sardegna.

Gli interessanti studi da lei condotti in collaborazione con altre università e centri di ricerca nazionali ed internazionali, aprono una finestra sul  Mesolitico sardo ancora scuro e nebuloso.

La storia dell’uomo preistorico nell’isola sinora è caratterizzata esclusivamente dall’ampia conoscenza del periodo Neolitico, poche tracce del Paleolitico ed altrettante del Mesolitico, che comincia a schiudersi con il ritrovamento e gli studi di rio Domu de S’Orku. Questo periodo di mezzo, così detto, lo si conosceva prioritariamente attraverso i ritrovamenti della penisola italica, oggi, grazie agli studi in atto, il mondo scientifico e non solo dispone di ulteriori conoscenze che rafforzano i dati sinora acquisiti e aprono nuovi orizzonti.

La ricerca storica ha ipotizzano l’arrivo dell’uomo in Sardegna, in questo particolare momento, attraverso il mare, grazie ad una maggiore acquisizione di conoscenze tecniche sulla navigazione, ma ancora non si è in grado di capire se gli sbarchi siano avvenuti per costituire dei successivi insediamenti stabili oppure sono da considerarsi degli approdi temporanei, legati all’esplorazione dell’isola. Gli storici concordano sul fatto che in questo periodo a spostarsi siano stati piccoli gruppi di uomini e donne alla ricerca di cibo. La migrazione delle genti mesolitiche pare sia dovuto anche al clima, segnato dalla fine dell’era glaciale con importanti cambiamenti climatici e ambientali.

Ormai è consolidata l’attestazione che il sito arburese non fosse sulla costa, ma distante dal mare qualche km, dovuto al fato che allora il livello del mare era almeno 20 metri più basso dell’attuale. Aspetto quest’ultimo che permetteva alla nostra isola d’essere raggiunta più facilmente, come altri storici concordano, anche attraverso la toscana, le isole dell’arcipelago, la Corsica e la Sardegna.

Calotta cranica di Beniamino, tratta dall’articolo American journal of Biological Anthropology 2025

Gli aspetti ambientali andati modificandosi nel tempo non hanno permesso agli studi di capire se la falesia, sicuramente più estesa d’oggi abbia ospitato altri nuclei umani.

Lo studio del sito e dei resti umani nell’antico tafone o piccola grotta ci ha comunque reso importanti dati sia sulla raccolta dei cibi con i quali si alimentavano, in parte marini o meglio lagunari, in quanto la distanza dal sito dalla linea della battigia pare fosse occupata da una laguna, lo testimoniano l’ampio numero di resti di molluschi. L’altro importante apporto alimentare era dato in particolare dal Prolagus sardus, specie estinta simile al coniglio, di cui sono abbondanti i resti.

L’ingresso dell’anfratto, utilizzato in fase di abbandono come sepolcro, sembrerebbe avesse l’ingresso rivolto non sulla costa ma a nord est sull’alveo del rio Domu de S’Orku, presumibilmente protetto dai forti venti di maestrale che allora si accompagnavano a piogge torrenziali, determinando crolli ed inondazioni.

Gli elementi vegetali rinvenuti ci aprono alla conoscenza dell’ambiente naturale in cui viveva il nostro nucleo umano, ma una parte di essi testimonierebbe che il sito e stato interessato anche da periodi di intenso calore, che provocarono devastanti incendi. Lo studio inoltre mette in risalto l’uso dell’ocra rossa come una importante testimonianza rituale, simbolo di rigenerazione, che avvolge tutti i resti scheletrici ed un ciottolo decorato con incisioni lineari. Particolare attenzione è stata dedicata allo studio del cranio dolicocefalo di Beniamino, perfettamente ricoperto dal pigmento naturale a base di ossido di ferro, definendo l’insieme una importante scoperta, che contribuisce ad una migliore comprensione delle dinamiche culturali del Mesolitico e che SOMK1 appartiene probabilmente ad un maschio adulto della specie Homo sapiens, diffusasi in Europa durante il Paleolitico superiore (40.000 – 10.000 anni fa).

In copertina, scavi Domu de S’Orku